giovedì 29 marzo 2012

Max Payne 3

Per Rockstar il multiplayer è una componente di crescente importanza. Un pezzo dell'offerta che allo stesso tempo permette di allungare la vita dei propri titoli e sperimentare in un ambito profondamente diverso da quello entro cui si muove abilmente da sempre. Tutti i giochi dell'etichetta anglo-statunitense rispondono però a certi canoni, narrativi e di coinvolgimento. Un filo rosso che accomuna ogni esperienza al cui interno ancora non sembra che designer e scrittori siano riusciti a far rientrare la presenza di più di un giocatore contemporaneamente.
 Quantomeno non nella forma di una cooperativa, quella che sulle prime apparirebbe come la soluzione più immediatamente associabile ai vari GTA e Max Payne. La presenza di una componente competitiva, introdotta con GTA IV e sviluppata in Read Dead Redemption, sembrava un palliativo piuttosto ben fatto, un corpo estraneo destinato a vivere di pregi e difetti propri senza mai davvero toccare le stesse note dell'avventura principale con cui condivide lo spazio sul disco. Invitati a Londra per provare il multigiocatore di Max Payne 3, ci siamo resi conto del punto di vista sbagliato da cui partivamo e di come la strada intrapresa punti verso la direzione opposta: piuttosto che aggiungere giocatori alla rigida struttura dell'esperienza in singolo, si può ottenere lo stesso attaccamento verso il proprio personaggio restando nel brutale ambito delle sfide player versus player. Ecco come.


Sfida tra bande    La soluzione più evoluta per mettere in catena una serie di battaglie multiplayer, di solito, è creare una playlist che sputa una dopo l'altra tante sfide quante sono quelle previste. R* crede di poter cambiare questa impostazione asettica aggiungendo una componente narrativa a ogni partita così da renderne la fruizione interessante. Caricato il match, veniamo proiettati dalla lobby della modalità Gang War all'umida mappa portuale The Sunny Tiete River, uno spazio dove fino in sedici scannarci tra capannoni industriali, container e moli semi abbandonati. Il nostro team e quello avversario sono al centro di una disputa per un territorio, una porzione di terreno da catturare entro i primi minuti e difendere quanto più strenuamente possibile.


 A seconda del risultato e di quello dei quattro turni successivi, giocati sulla stessa mappa con gli obiettivi spalmati su tutta la sua superficie, la storia si evolve in maniera differente. Raccontata da brevi filmati animati con la stessa tecnica a finestre e scritte in sovraimpressione già vista nell'avventura. Abbiamo affrontato un paio di Gang War nel corso della nostra prova e ci siamo scontrati per portare in salvo borsoni pieni soldi, piazzare delle bombe, uccidere quanti più avversari possibili e conquistare territori in sequenza. I compiti sono quelli standard di mille altri shooter, ma non sapere quale sarà quello successivo rappresenta una variabile non da poco e i risultati dei primi quattro round confluiscono nell'ultimo. Qui il punteggio raccolto fino a quel momento viene trasformato in un bonus da sfruttare nel Team Deathmatch finale o in un monte vite extra a cui attingere se la guerra tra le due bande si conclude con l'altrettanto classico Takedown.






La storia del multiplayer di Max Payne 3 vuole però anche essere la storia personale del giocatore, che attraverso il Rockstar Social Club può associarsi alle così dette Crew. Dei gruppi, pubblici o privati, ai quali unirsi e per cui combattere qualsiasi modalità e con chiunque si giochi. Un gruppo di amici crea un clan e affronta il matchmaking in gruppo.
Storia di una guerra tra bande
 Mentre un utente solitario si unisce a uno pubblico, facendo sì che i suoi successi siano anche quelli della bandiera per cui combatte silenziosamente ma con la certezza che, qualora in una lobby si trovasse con un compagno, finirà automaticamente in squadra con lui. Nel gioco esiste anche il concetto di Vendetta, un modo per dichiarare di volersi vendicare di un avversario che ci ha fatto fuori almeno un paio di volte ottenendo un bonus di punti esperienza in caso di successo. O facendolo ottenere a lui qualora dimostrasse ulteriormente la sua superiorità. Bene, questa semplice meccanica viene estesa alle Crew, che come fossero gang di qualche ghetto statunitense vivono di rivalità e i cui membri hanno come priorità l'abbattimento dell'odiato nemico, anche se incontrato per caso durante un match pubblico. Sono piccole cose, non si tratta certo di una svolta in grado di trasformare il titolo nell'e-sport definitivo, però esaltano frustrazioni e gratificazione implicite in ogni competizione che prevede punti, classifiche finali e la possibilità di prendersi vicendevolmente per i fondelli.


Gang War è la principale novità del comparto online di Max Payne 3, ma non l'unica attrazione degna di nota. Rockstar ha lavorato partendo dai livelli single player a cui è stata posta una cura maniacale, per rielaborarli così che calzassero a pennello quando messi alla prova in quest'ambito frenetico e privo di script. Le intricate viuzze in terra battuta di The Favela, un insieme di catapecchie in lamiera e spoglie palazzine su due piani, sono state arricchite di passaggi, passerelle e pertugi attraverso i quali lanciarsi in acrobatici tuffi ma anche rotolare per smarcarsi dal nemico che ci ha agganciato prendendo la mira (se l'host ha previsto la presenza del soft lock), in un continuo perdere di vista e ritrovare il bersaglio dovendosi allo stesso tempo guardare le spalle.Storia di una guerra tra bande Lo stesso vale per la rimessa dei pullman di San Paolo, Bus Depot, già affrontata da Max prendendosi a pistolettate con il Comando Sombra, che diventa in multiplayer lo spazio perfetto per colpi dalla distanza e letali appostamenti grazie all'alto edificio centrale che aggiunge una componente verticale decisiva. In effetti, rispetto a GTA e RDR, gli ambienti sono piuttosto piccoli e impongono un bilanciamento complesso, che speriamo abbia successo ma che in meno di due ore di hands on non abbiamo potuto verificare in maniera ottimale. Il focus degli sviluppatori, più che gli intricati ma spesso sterili equilibri dietro al posizionamento di ogni copertura, si è dimostrato essere il fattore divertimento: accanto a modalità tradizionali raccolte in una veste inedita, sono anche state elaborate idee fantasiose, come Payne Killer. Qui in due impersonano Max e Raul Passos, capaci di infliggere più danno e muniti di alcuni extra come due antidolorifici anziché uno solo, impegnati a resistere il più possibile prima di trasferire il loro ruolo a chi ha maggiormente contribuito a consumarne i punti vita.Storia di una guerra tra bande Si tratta di un'esperienza più frenetica che tecnica, divertente per quanto ci è stato possibile sperimentare, che punta sulla personalità degli ambienti, l'azione senza sosta ma anche sulle opzioni per customizzare il proprio alter ego. Salendo di livello e guadagnando contanti si sbloccano e acquistano nuove armi a una oppure due mani, dalle pistole automatiche ai revolver, dai mitragliatori ai fucili a pompa a quelli di precisione. Personalizzabile l'equipaggiamento come l'elmetto, la protezione per il busto, le granate e i tre perk opzionali utili a migliorare statistiche come la velocità a cui si ricarica l'arma o aggiungere abilità come quella di rinascere senza aver perso i medikit posseduti prima di venir uccisi. Potremmo fare centocinquanta esempi diversi di armi o abilità o oggetti presenti, ma la sostanza è che per progressione e opzioni di contorno, siamo dalle parti di quanto fatto da praticamente ogni shooter da Modern Warfare in avanti, in prima ma anche come in questo caso in terza persona.
Storia di una guerra tra bande
 In più però, Max Payne 3 butta nella mischia i cosiddetti Burst, poteri dai più svariati effetti attivabili premendo l'analogico destro. Per una descrizione a tutto tondo vi rimandiamo al box dedicato, limitandoci a spiegare il funzionamento del più celebre, il Bullet Time. Anziché creare una "bolla" che rallenta chiunque si trovi al suo interno tranne chi l'ha attivata, qui l'effetto viene applicato a chi rientra nella visuale. In questo modo la distanza è maggiore ma il cono in cui si applica limitato e diventa necessario, se si è bersaglio del Bullet Time, cercare di smarcarsi quanto più rapidamente possibile. Si tratta di un compromesso, ovvio, ma del miglior compromesso possibile. Lanciarsi da una balconata in tuffo, bazooka alla mano pronti a far saltar per aria il mondo, per farsi rallentare e uccidere a colpi di pistola da un avversario poi comodamente in grado di schivare il missile, è una frustrazione impagabile.



Nessun commento:

Posta un commento